Onorevoli Colleghi! - La costiera amalfitana da sempre incanta i propri visitatori per l'armonia con la quale l'intervento dei suoi abitanti ha saputo modificarne, migliorarne e mantenerne il meraviglioso paesaggio; l'equilibrio tra i diversi elementi che la compongono ha ottenuto nel corso degli anni innumerevoli riconoscimenti, non ultima la dichiarazione dell'Unesco che nel 1997 ha inserito la costiera tra i siti da salvaguardare del patrimonio culturale mondiale.
      Tuttavia non mancano problemi gravissimi, connessi alla rilevante pressione delle attività umane, alla crescita dei redditi locali e alla modifica degli stili di vita degli abitanti della zona.
      È noto che la Campania ha, tra le regioni meridionali, il deficit ecologico più pesante. Utilizzando il metodo della «impronta ecologica», un indicatore che calcola la sostenibilità delle attività umane, il WWF ha rilevato che le risorse naturali della Campania non riescono a rigenerarsi con lo stesso ritmo con cui sono consumate; la pressione umana, aggravata dall'elevato rapporto tra abitanti e superficie del territorio, supera di gran lunga la capacità biologica della regione, tanto che per i consumi attuali occorrerebbe un territorio regionale circa quattro volte più grande di quello reale.
      Da questa situazione non sfugge la costiera, che risulta essere tra le aree nazionali più colpite dall'abusivismo edilizio. Le Forze dell'ordine stimano che per ogni manufatto abbattuto ne sorgono dieci nuovi. Dal 1988 in avanti, lungo questo tratto di costa sono state disposte quasi 7.000 ordinanze di demolizione, ma quelle eseguite sono solo 106, pari a poco più dell'1 per cento del totale. Da una rilevazione effettuata nel mese di marzo 2005 presso il comune di Amalfi è risultato che

 

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la locale compagnia di carabinieri ha redatto circa 200 denunce penali nel 2004, più altre 34 nei primi mesi del 2005. Anche la Guardia di finanza tra gennaio e marzo 2005 ha scoperto oltre 10 cantieri abusivi e denunciato i responsabili. Il paradosso vuole che diversi di questi cantieri siano stati mascherati con le tipiche coperture dei limoneti costierini per dare a intendere che si tratta di coltivazioni. Nella gran parte dei casi si tratta, invece, di edilizia speculativa e non di necessità: si deturpa il paesaggio con l'obiettivo di creare nuovi spazi da affittare o da utilizzare come esercizi commerciali. E gli speculatori sono agguerritissimi anche sotto il profilo legale: dopo il sequestro è automatico il ricorso al tribunale amministrativo regionale, proseguendo poi per tutti i gradi della giustizia amministrativa, in attesa di una, sino a oggi immancabile, sanatoria edilizia. Per questi motivi il sindaco di Amalfi ha chiesto una nuova legge che dia ai comuni la possibilità di abbattere immediatamente il manufatto costruito abusivamente. E sempre per questi motivi che la costiera comincia a perdere il proprio appeal paesaggistico, registrando, nel 2004, una perdita dell'8 per cento di pernottamenti turistici.
      Nel dicembre 2004 è stato sottoscritto il progetto integrato territoriale (PIT) «Penisola amalfitano-sorrentina», dotato di risorse finanziarie pubbliche pari a 36,7 milioni di euro (fondi europei del programma operativo regionale Campania 2000-2006) e a 19 milioni di euro di investimenti privati. Il suo intento è quello di diversificare l'offerta turistica, per lo sviluppo del turismo di qualità attraverso azioni integrate volte al potenziamento e alla riqualificazione del sistema di accoglienza e dei servizi, riorganizzando il sistema della mobilità in chiave sostenibile e salvaguardando il patrimonio culturale e ambientale. Il PIT, che ha come ente capofila la provincia di Salerno, coinvolge tutte le realtà amministrative locali e cioè la regione, 2 province, 2 comunità montane, 27 comuni e 4 soprintendenze.
      Altro motivo di degrado del territorio costierino e di crescente preoccupazione è il costante declino della limonicoltura, dovuto anch'esso a più fattori concomitanti. Ciò nonostante il fatto che il «limone costa d'Amalfi» abbia ottenuto il riconoscimento dell'indicazione geografica protetta (IGP) dall'Unione europea ai sensi del regolamento (CE) n. 1356/2001 della Commissione, del 4 luglio 2001, e che il relativo Consorzio di tutela sia ormai pienamente operativo. Il caratteristico limone, lo «sfusato amalfitano», viene prodotto in tutti i comuni della costiera: Amalfi, Atrani, Cetara, Conca dei Marini, Furore, Maiori, Minori, Positano, Praiano, Ravello, Scala, Tramonti e Vietri sul Mare.
      Il calo della produzione è ininterrotto ormai da più di trent'anni e le percentuali di abbandono dei coltivatori sfiorano quota 50 per cento, soprattutto per la mancanza di un ricambio generazionale: gli occupati in questo settore nella fascia compresa tra i 25 e i 40 anni di età sono infatti solo il 9 per cento.
      I costi vivi di produzione superano i 50 centesimi per chilo, che aumentano per i produttori che si fregiano dell'IGP in quanto i disciplinari sono, per forza di cose, piuttosto rigidi. Tutto ciò ha prestato il fianco alle frodi: più volte le locali Forze dell'ordine hanno effettuato sequestri di limoni provenienti dalla Spagna, dalla Sicilia e dalla Calabria commercializzati come «limone costa d'Amalfi», ma con prezzi notevolmente inferiori allo «sfusato amalfitano». I falsi limoni amalfitani avrebbero, secondo le stime dei produttori locali, conquistato quote di mercato pari al 50 per cento.
      Quanto all'attuale situazione, sono 700 gli ettari coltivati a limoni, da oltre mille aziende, prevalentemente a conduzione familiare, per una produzione di circa 140.000 quintali, con un valore di circa 8 milioni di euro di produzione vendibile. La produzione certificata di «limone costa d'Amalfi IGP» è stata, nel 2003, di 183 tonnellate di limoni freschi, prodotti da 230 imprese agricole, per una superficie complessiva di limoneti iscritti pari a 39 ettari. Tra i prodotti trasformati, sicuramente va menzionato il «limoncello», il famoso elisir tipico della zona che ha
 

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alimentato un importante indotto economico per tutta l'area. La produzione certificata dall'Istituto mediterraneo di certificazione (Ismecert) per il 2003 è stata di circa 53.000 bottiglie, pari a 42.300 litri.
      La coltivazione tipica è a terrazzamenti che si dipartono dal livello del mare sino a superare i 400 metri di altitudine. Durante il periodo invernale viene effettuata la copertura delle chiome, per la protezione contro le avversità atmosferiche. Prima si usavano stuoie di paglia (pagliarelle) o altro materiale vegetale, oggi sostituite dalle più pratiche reti ombreggianti.
      Il problema dell'accessibilità ai fondi, posti nelle celebri «terrazze», è da sempre la principale preoccupazione degli operatori agricoli dell'area. Proporre ancor oggi il trasporto dei frutti nelle ceste poste sul capo delle donne del luogo è anacronistico. Molti sono stati i tentativi di applicare modelli innovativi di trasporto già diffusi in altre aree, come le teleferiche e le monorotaie, ma il problema non è stato ancora risolto.
      La coltivazione del limone svolge un ruolo fondamentale nella tutela idrogeologica del territorio occupando anche i versanti più acclivi ed è elemento di spicco del paesaggio della costiera amalfitana, definita da molti «divina costiera», che deve il suo fascino anche alla bellezza e al profumo dei «giardini di limoni».
      Un abbandono dei terrazzamenti non solo porterebbe all'inaridimento dei suoli, ma anche a un crescente dissesto idrogeologico, dovuto alla perdita delle capacità di sostegno dei caratteristici muretti a secco e al dilavamento dei ripidi pendii: la catena dei monti Lattari è costituita da rocce dolomitiche frammiste a materiali vulcanici, estremamente sensibili ai processi di degradazione e di erosione; d'altro canto le terrazze nei pressi del mare o della strada sono trasformate in parcheggi o divengono preda di insediamenti immobiliari, con ciò in definitiva distruggendo le caratteristiche per le quali la costiera è universalmente conosciuta.
      Peraltro va osservato che l'agrumicoltura italiana attraversa da alcuni anni uno stato di profonda crisi, nonostante siano ovunque presenti produzioni tipiche di pregio o a denominazione di origine e nonostante siano stati promossi negli anni, attraverso la politica nazionale e regionale, interventi per l'ammodernamento strutturale e la riconversione varietale.
      I motivi sono costituiti dalla crescente concorrenza estera (gli accordi euromediterranei di fatto consentono l'importazione agevolata di prodotti agricoli da Paesi rivieraschi con bassissimo costo del lavoro), dalle ridotte dimensioni delle aziende, dallo scarso raccordo con l'industria di trasformazione e con la distribuzione, nonché dall'assenza di strategie di promozione e di commercializzazione.
      Con la legge 2 dicembre 1998, n. 423, è stata prevista la predisposizione di linee programmatiche di indirizzo e di intervento per l'agrumicoltura italiana, da sottoporre all'approvazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica. Il piano di settore nazionale, noto come «Piano agrumi» da ultimo rifinanziato con la legge n. 388 del 2000, ha preventivato una spesa complessiva pari a 186 miliardi di vecchie lire ripartita in più anni.
      Le strategie di intervento del Piano agrumi si possono riassumere nei seguenti punti: riqualificare l'agrumicoltura nelle aree vocate per il mercato, attraverso la riconversione varietale e l'ammodernamento aziendale; potenziare le produzioni tipiche attraverso l'introduzione di innovazioni di prodotto e di processo; migliorare l'organizzazione dell'offerta, attraverso il potenziamento delle organizzazioni dei produttori; sviluppare politiche di promozione e di sostegno; sostenere il mantenimento di un'agrumicoltura rilevante per la tutela dell'ambiente e dello spazio rurale, attraverso misure di incentivazione.
      Il finanziamento del Piano agrumi è confluito nel Fondo unico investimenti agricoltura foreste e pesca (unità previsionale di base 1.2.10.2, Ministero delle politiche agricole e forestali), istituito con la legge n. 448 del 2001 (finanziaria 2002) e dotato per ciascuno degli anni 2005-2006
 

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di 227 milioni di euro. Peraltro sussiste una posta relativa a contributi per la crisi del settore nell'unità previsionale di base 3.2.3.4, Ministero delle politiche agricole e forestali - cap. 7624, che per il 2005 ha gestito residui per 27,8 milioni di euro.
      Peraltro con la legge n. 27 del 1993, la regione Campania ha adottato misure di sostegno della limonicoltura che prevedono, oltre l'impianto di specie colturali tipiche, il finanziamento di opere di ripristino dei terrazzamenti con tecniche e materiali tradizionali, di miglioramento della viabilità rurale e di impianti di trasporto a fune o su monorotaia, di rifacimento dei pergolati, nonché di miglioramento degli impianti di irrigazione. Nel febbraio 2005, infine, la giunta regionale campana ha approvato un programma di interventi dotato di 1,33 milioni di euro.
      La constatazione che il complesso delle attività sinora poste in essere non ha interrotto il crescente degrado della costiera amalfitana e l'abbandono delle colture spinge a presentare la proposta di legge, che intende coordinarsi e non sovrapporsi alle norme già vigenti, nel pieno rispetto dei princìpi di sussidiarietà e di collaborazione per quel che riguarda le prerogative regionali. L'inserimento dell'area nell'elenco dei siti da tutelare dell'Unesco, consente un intervento dello Stato ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione in materia di tutela dei beni culturali. Giova anche ricordare che in base all'articolo 9 della Costituzione la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico ed artistico della Nazione.

      Il testo qui presentato riprende quello predisposto dal comitato ristretto della Commissione Agricoltura della Camera dei deputati nella XIV legislatura, il 18 gennaio 2006, e non giunto per tempo ad approvazione. Esso non può dirsi pienamente soddisfacente in quanto non valorizza adeguatamente il prodotto tipico quanto la mera localizzazione territoriale, la cui individuazione è peraltro demandata a un decreto ministeriale. Anche le funzioni del consorzio non sono adeguatamente valorizzate. Tuttavia esso presenta il pregio di rappresentare un punto di incontro tra le diverse forze politiche e come tale è in grado di ottenere un sollecito passaggio parlamentare. È evidente che ove si presentassero nuove sensibilità, questa parte politica ripresenterebbe sotto forma di emendamento le più avanzate forme di tutela di cui si fa cenno nella presente relazione.
      Al testo così formatosi sono, però, state apportate due modificazioni. La prima riguarda la necessità di tutelare con maggiore forza il territorio costierino quotidianamente attaccato dalla speculazione edilizia. L'articolo 6, infatti, riprende un progetto del Governo D'Alema mai giunto a definizione, in materia di contrasto all'abusivismo edilizio. Sostanzialmente si propone l'acquisizione al demanio dei comuni delle opere abusive e delle aree dove queste sono realizzate: si dà quindi seguito alla richiesta del sindaco di Amalfi. La disposizione si sovrappone a quelle vigenti, configurandosi come norma speciale, limitata ai soli comuni della costiera amalfitana. Conoscendo le infinite tutele di cui godono gli abusivisti edilizi, e ne è prova la quasi ventennale vicenda del Fuenti, occorrerà una decisa volontà non solo per approvarla, ma anche per applicarla. Il premio potrebbe essere il salvataggio della costiera amalfitana.
      La seconda modificazione riguarda la clausola di copertura finanziaria, riportata nell'articolo 7.
      La clausola prevista nel testo unificato proposto dal comitato ristretto deve ritenersi superata ed è stata quindi sostituita con una copertura a valere sulle risorse del Fondo per gli investimenti «Agricoltura, foresta e pesca», istituito ai sensi dell'articolo 46 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, e rideterminato dall'ultima legge finanziaria.
 

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